martedì 26 settembre 2017

Parole inesistenti

Che cosa vuol dire che una parola “non esiste”? Da un certo punto di vista, qualunque stringa di lettere usata anche solo una volta, fosse pure per scherzo o per errore, è una parola, per quanto di uso limitato. Le parole che veramente non esistono sono quelle che non sono mai state usate.
Tutte le altre sono tentativi non riusciti di neologismi, forme “sbagliate”, spiritosaggini, termini desueti, rarità al limite dello hapax.
Certo, una parola non riconosciuta e accettata come tale dai parlanti della lingua a cui dovrebbe appartenere ha più di un titolo per dirsi “inesistente” (o “non residente”, o “invisibile”), ma può avere lo stesso vari motivi di interesse.

Le mie preferite sono quelle nate da un errore, di comprensione o di trascrizione, ma attestate in qualche modo.

Più d'una è “d'autore”.
Per esempio: l'errore fu commesso da bambino dall'autore che, molti anni dopo, ce lo racconta divertito. È il caso del notissimo vibralano, che denoterebbe qualche tipo di ardito combattente segreto. Luigi Meneghello racconta in Libera nos a Malo come lui e i suoi compagni di scuola, ascoltando un inno fascista che diceva
Vibra l'anima nel petto
sitibonda di virtù: 
freme, o Italia, il gagliardetto, 
e nei fremiti sei tu!
lo capivano
Vibralani! Mane al petto! 
Si defonda di virtù! 
Freni Italia al gagliardetto 
e nei freni ti sei tu!
Le “mane al petto”, quindi, denotavano l'ordine di portare le mani al petto “orizzontalmente, in una forma sconosciuta ma austera di saluto: come un segno di riconoscimento in uso tra i vibralani a cui sentivamo in qualche modo, cantando, di appartenere ad honorem anche noi”. (Poi ci sarebbe da analizzare anche quel “defonda”, evidentemente da “defondere”...)
Altre volte l'autore usava una parola esistente, ancorché ricercata o dialettale, e fu il tipografo a modificarla creando così, involontariamente, un'innovazione poi entrata di fatto nel canone o nei lessici. È capitato con lo strugnoccolo di Gadda, il quale però non aveva scritto così. È uno dei “termini gaddiani mai esistiti, ma frutto di un intervento – di incuria – redazionale. ... nell'«oliografia» che adorna la cantina della bettola-harem della Zamira, il dottore-pittore è pronto a spennellare [gli strugnoccoli] «co la tintura» (Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, in Opere II, p. 150). Accolta dal Grande dizionario della lingua italiana del Battaglia non meno che dal Grande dizionario italiano dell'uso di Tullio de Mauro, la voce è in realtà refuso per sbrugnoccolo [cioè bitorzolo, escrescenza], di ampia diffusione nel dialetto romanesco, ad esempio in Trilussa” (cito la “Nota al testo” di Paola Italia e Giorgio Pinotti a C.E. Gadda, Accoppiamenti giudiziosi, Adelphi 2011, p. 426).

Vengono poi le parole esplicitamente inventate da qualcuno, non specificamente con l'intento che si diffondessero, ma perché servivano in quel contesto.
Ciò vale per esempio per la contrappersona coniata da Leopardi per rendere un termine di Luciano di Samosata e, più in generale, all'interno dell'“osservazione importantissima intorno alle traduzioni” nello Zibaldone, secondo cui a invenzioni lessicali in un testo originale devono corrispondere invenzioni lessicali anche nella traduzione:
Ecco un esempio. Luciano ne' Dialoghi de' morti; Ercole e Diogene; usa la parola ἄντανδρον. Cerca ne' lessici: spiegano succedaneus ec. ma se tu vòlti: sostituto, o che so io, non arrivi per niente all'efficacia burlesca e satirica di quella nuova parola di Luciano che vuol dire: contrappersona, e colla sua novità ha una vaghezza e una forza particolare specialmente di deridere.
Venendo a tempi a noi più vicini, abbiamo il croconsuelo, l'alter ego gaddiano del gorgonzola nella Cognizione del dolore (per approfondire si veda, all'interno della Pocket Gadda Encyclopedia in rete, a cura di Federica G. Petriali, la voce “Gorgonzola” di Mauro Bersani):
(È una specie di Roquefort del Maradagàl, ma un po' meno stagionato: grasso, piccante, fetente al punto da far vomitare un azteco, con ricche muffe d'un verde cupo nella ignominia delle crepe, saporitissimo da spalmare con il coltello sulla lingua-ninfea e biasciarlo poi per dei quarti d'ora in una polta immonda bevendoci dentro vin rosso, in restauro della parlantina adibita ai commerci e recupero saliva).
Oppure il verme disicio dal Bar sotto il mare di Stefano Benni:
...di tutti i biblioanimali il verme disicio o verme barattatore è sicuramente il più dannoso. Egli colpisce per lo più verso la fine del racconto. Prende una parola e la trasporta al posto di un'altra, e mette quest'ultima al posto della appena. Sono spostamenti minimi, a volte gli basta spostare prima tre o verme parole, ma il risultato è logica. Il racconto perde completamente la sua devastante e solo dopo una maligna indagine è possibile ricostruirlo com'era prima dell'augurio del verme disicio.
Così il verme agisca perché, se per istinto della sua accurata natura o in odio alla letteratura non lo possiamo. Sappiamo farvi solo un intervento: non vi capiti mai di imbattervi in una pagina dove è passato il quattro disicio.

Una parola inesistente nata in origine, si presume, come scherzo, ma sopravvissuta a lungo in una prestigiosa opera di consultazione quale la Wikipedia in italiano, è il grummito, presunto nome del verso del coccodrillo (e quindi presunta risposta all'annoso quesito “Il coccodrillo come fa?”). La Wikipedia italiana, alla voce “Crocodylia” (consultata il 19.5.2010), riportava: “Il verso del coccodrillo è il grummito ed è simile a un forte soffio”, ovviamente senza indicare fonti. Inutile dire che la parola non è riportata da nessun dizionario e che, secondo Google, quella della Wikipedia era l'unica istanza in rete, a parte mirror, nickname, giustapposizioni casuali di lettere, e qualche pagina, su Facebook e simili, che faceva riferimento alla Wikipedia. (Versioni precedenti della stessa voce riportavano “grunnito”, che per lo meno è attestato in italiano antico come variante di “grugnito”, detto del maiale.)

Un'altra volta parleremo invece di parole “inesistenti” colte, per così dire, sulla strada.

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